Davide Dellisanti è un pianista romano conosciuto a livello nazionale ed internazionale. In questa intervista ha voluto raccontarci la sua carriera.
Quando iniziò esattamente la sua carriera di pianista
“Diciamo che l’interesse per la musica è iniziato a tredici anni cosi per caso. Ricordo che ero un bimbo un po' triste perché non mi piaceva tutto quello che piaceva ai miei coetanei. Quindi, da lì, ho iniziato un po' a guardarmi intorno e un giorno mi ricordo così per caso ero dalle suore a Taranto a Piazza dell’Immacolata dove andavo il pomeriggio ad aiutare per fare i compiti a fare attività anche ricreative e lì ci fu una ragazza bionda che, praticamente, si mise al pianoforte e suonò un brano e io da lì diciamo dentro di me, capii che volevo fare questo nella vita perché mi creò molte emozioni. Quindi tornai a casa ne parlai ai miei genitori e un po' da lì in avanti ci fu tutta la storia. Purtroppo poi avendo solo mio padre che lavorava quattro figli maschi per noi era difficilissimo comunque andare avanti. Quindi io mi ricordo che mi affacciavo sempre in un negozio di pianoforti e guadavo sempre la vetrina perché avere sempre un pianoforte per me era il mio sogno oramai. Con il proprietario di questo negozio poi ci ho fatto amicizia e lui ha detto guardi io ho bisogno di un ragazzo che sta qui il pomeriggio o la mattina così io posso andare a fare i lavori ai clienti e ho una persona qui che sta attenti ai pianoforti, se viene qualcuno li mostra e mi ha insegnato anche tanti lavori. Quindi avevamo quest’accordo, lui non mi pagava però io stavo lì e imparavo anche a riparare i pianoforti, lui mi lasciava anche da fare delle cose che oggi mi ritrovo. Quindi da lì poi è nata questa cosa e ho iniziato a studiare, ho studiato tantissimo e ho scopetto poi infatti di avere talento per questo, ripeto, facendo enormi sacrifici perché la mia famiglia mi ha aiutato per quello che poteva ovviamente. Però cecavo sempre di non appesantirla e poi sono entrato al conservatorio di Bari, ho completato i miei studi lì. Contemporaneamente ho iniziato a studiare canto lirico perché mi affascinava l’opera e, benchè facevo i concorsi da solista, vincevo sempre, però avevo capito che non era proprio quella la mia strada. Perché mi piaceva più condividere la musica. E, quindi, l’opera lirica che è la forma più completa d’arte perché le abbraccia un po' tutte le arti: dalla pittura alla danza, cioè c’è tutto in un’opera lirica. E, quindi, mi sono perfezionato proprio in questo settore diciamo. Da lì poi è nata la mia carriera, perché in poco tempo sono diventato il pianista dei più gradi cantanti lirici. In primis Nicola Martinucci che era della mia città. Poi Carmen Appollonio, poi ho collaborato con tutti i più grandi: da Giacomini, poi Placido Domingo Raul Jimenez, un po' tutti i più grandi della lirica, Aprile Millo. E adesso, attualmente, insegno in conservatorio a Potenza proprio questa materia pratica dell’accompagnamento pianistico. Ossia insegno ai pianisti a diventare accompagnatori o di cantanti o di strumenti, perché è un lavoro un po' diverso diciamo quello del solista, perché il solista non deve rendere conto a nessuno se non a uno spartito, invece l’accompagnatore deve rendere conto alla persona con cui sta interagendo, diciamo. E, quindi, è un lavoro un po' diverso di ascolto anche. Quindi bisogna anche avere questa attitudine, saper ascoltare. Quindi questo è, diciamo un po' un riassunto breve. Ho studiato direzione d’orchestra, ho diretto anche grandi nomi come Josè Cura orchestre importanti come l’orchestra Čajkovskij di Mosca, la Cairo Symphony. Sono stato per sette anni all’Opera del Cairo a lavorare in teatro come preparatore come vocalcoach e maestro del coro, sono stato ad Ankara sei mesi e adesso giro un po' in tutti i teatri all’estero dove fanno un po' opera italiana per preparare i cast delle opere. Quindi il prossimo concerto per esempio sarò a Barcellona, poi tante altre cose che si sviluppano nel tempo”.
Lazar Berman e, tanti altri, diciamo. Però loro mi hanno formato sicuramente”.
Qual è il primo consiglio che da questi grandi maestri e da tutti i cantanti e gli artisti che ha accompagnato e accompagna, è riuscito a ricevere e fare suo?
“Ma, io credo che la cosa più importante sia lo studio, perché oggi i ragazzi cercano tutti le scorciatoie, le raccomandazioni. Non studiano ma vogliono la vita facile; ma soprattutto i genitori dei ragazzi noto che hanno questo atteggiamento sempre. Io non ho avuto mai nessuna raccomandazione. Io sono arrivato a Roma che avevo in repertorio già almeno cinquanta opere liriche e, quindi, mi chiamavano tutti perché c’è sempre bisogno poi di chi si siete e suona tutta la Tosca non le arie solo, Quindi la mia carriera è iniziata da questo; non posso dire di essere stato raccomandato. Sicuramente quando mi hanno sentito i più grandi della lirica mi hanno apprezzato tantissimo, mi hanno voluto come loro pianista in molte masterclass, in concerti, come assistente. Però io ho sempre studiato e continuo a studiare tanto, proprio perché io credo che la chiave di tutto sia proprio lo studio perché i raccomandati fino ad un certo punto poi dopo bisogna essere all’altezza della situazione; quindi io questo ho imparato e questa è sicuramente la chiave di tutto. Però oggi, purtroppo, i ragazzi non vogliono fare sacrifici questo è il problema. La maggior parte, debbo dire, vogliono trovare sempre scorciatoie. Io studiavo a Milano con un maestro, mi mettevo nel treno la notte seduto con i treni di una volta non quelli di adesso, arrivavo a Milano con il mal di denti, facevo lezione e tornavo. Facevo due notti così perché sapevo che quella lezione per me era più importante di comprare un jeans o di altro. Invece oggi c’è tutt’altro atteggiamento mi dispiace, è un po' finito tutto secondo me”.
Lavorare all’estero quanto è stato utile per perfezionarsi e, soprattutto, che reputazione c’è oggi della lirica italiana all’estero?
“Io posso dire che all’estero intanto ho incontrato dei colleghi veramente di altissimo livello, Il paradosso è che nei teatri italiani molti di questi colleghi non arrivano. Io non parlo di me perché non voglio parlare di me, ma i più grandi direttori, i più grandi cantanti, nella maggior parte dei casi li ho trovati proprio all’estero; perché in Italia non hanno tutta questa facilità perché c’è un giro di agenzie troppo grosso; hanno dato troppo valore alle agenzie i teatri perché, purtroppo, essendo incompetenti molti direttori artistici dei teatri, non sanno scegliere le voci. Allora si affidano a delle agenzie. Nelle agenzie, ovviamente, ci sono tutti gli interessi dietro economici. E, quindi, certi teatri prendono un pacchetto completo di venti cantanti tutti da un’agenzia e, quindi, questo è il dramma. Invece all’estero funziona completamente in maniera diversa perché ci sono i cantanti stabili in ogni teatro che fanno tutte le opere. Quindi vengono stipendiati regolarmente e durante l’anno debbono fare il lavoro che gli viene chiesto come al Cairo appunto. Quindi io quando vado lì, preparo sempre quei cantanti che fanno diversi titoli in base all’anno. In Italia invece ogni opera cambiano i cast però siamo sempre lì vorrei dire. Si vedono sempre gli stessi nomi di basso livello per altro. Io non vado più al teatro dell’Opera in Italia, se non raramente perché, purtroppo, il livello dei cantanti in Italia è sceso molto perché, ripeto, si vedono sempre gli stessi nomi. Quindi preferisco non andare, non soffrire; questa è la mia visione ovviamente”.
Oltre al pianoforte suona altri strumenti?
“No, io sono un pianista solamente classico e di opera lirica. Nel mio repertorio oggi faccio anche concerti da solista. Sono un direttore d’orchestra, soprattutto di opera lirica. Mi sono specializzato in questo. Poi mi è capitato di lavorare in televisione per diversi anni a Canale 5 dove ho accompagnato anche nomi come Alessandra Amoroso, Antonella Ruggero ed altri. Ma per noi è facile la musica leggera, non bisogna avere una specializzazione in questo se si viene da un percorso classico ovviamente. Il jazz per esempio non è per me. Ho provato, ma non ho questo tipo di creatività nel comporre in chiave jazz. Proprio non fa parte di me”.
Vediamo un attimo lei come si adatta ai palcoscenici di ogni teatro, perché ogni artista ha un suo modo di adattarsi ai palcoscenici dei teatri?
“Diciamo che, sicuramente, il lavoro del pianista accompagnatore o maestro sostituto, ha diversi nomi questo lavoro perché può fare tante cose, in un teatro, maestro di palcoscenico. Diciamo che la prima caratteristica che bisogna avere per fare questo lavoro è sapersi adattare a tutto, perché si lavora con direttori diversi che hanno idee diverse, che hanno tempi diversi, cantanti diversi. Ci sono molti divi in giro bisogna avere anche molta pazienza soprattutto con i cantanti. Purtroppo, molte volte per l’insicurezza che hanno certe volte hanno un atteggiamento anche arrogante. io dico certe volte, fortunatamente. Questo lo sottolineo perché non è sempre così. E, quindi, bisogna avere adattamento ma anche sapere. Cioè io so chi sono e, quindi, quando bisogna difendere la propria lo faccio; in maniera educata. Però debbo dire che raramente ho avuto problemi perché i cantanti mi stimano molto, sanno che se do dei consigli li do proprio perché possano migliorare non abbiano problemi con un direttore d’orchestra. Lo studio dello spartito è fondamentale perché molti cantanti si soffermano troppo sull’aspetto vocale, ma non della scrittura che se c’è un accento, se c’è una legatura, se c’è un crescendo, da una frase a un’altra bisogna farlo perché ha un senso. Quando noi parliamo non parliamo sempre con la stessa intonazione o con la stessa dinamica. Cambiamo proprio perché ci sono delle parole che debbono essere sottolineate. Invece oggi molti cantanti si soffermano solo sulla voce e molti maestri di canto, purtroppo, sono una rovina per i cantanti, perché parlano solo di tecnica e poi li mandano nei concorsi magari con le voci belle tecnicamente, ma non hanno capacità artistica che invece all’epoca la parola era fondamentale per i cantanti. Addirittura molti non sanno neanche il libretto dell’opera e la trama. Cantano le note e basta”.
Lei come vede il futuro del vostro lavoro?
“Ma, guardi, non lo so perché se non si prende un’altra direzione. Bisognerebbe fare una pulizia nei teatri italiani purtroppo, perché da quando è entrata la politica nei teatri ha rovinato tutto. Perché, purtroppo, è gente incompetente che sta lì perché ha un incarico politico e, quindi, iniziano ad aprire anche ai parenti le finestre. Quindi si inventano direttore casting, tutti ruoli che non sono mai esistiti. Prima c’era il direttore artistico pure nei conservatori. Cioè all’epoca avevamo Vincenzo Bellini, Giuseppe Verdi, erano a capo delle situazioni. Oggi chi abbiamo? Se dovessi fare dei nomi uno riderebbe. Direbbe come fino a ieri ha fatto il camionista, oggi sta a dirigere un teatro con tutto il rispetto per il camionista magari. Io prendo un esempio come per dire faceva tutt’altro lavoro però. Un altro allenava la squadra di football e lo troviamo come sovraintendente o direttore artistico in un teatro perché ci sono i soldi nei teatri che girano e, quindi, ci sono tutti questi personaggi. Infatti io non lavoro mai nei teatri italiani; non mi è mai interessato perché la figura del pianista è gestita molto male nei teatri, è molto sfruttata e non vale la pena. Lavoro all’estero mi trattano come un re e sono molto contento diciamo. In Italia non si può diciamo. Non capiscono proprio il valore del pianista. Però quando manca si ferma l’opera; perché poi dopo non si può fare un’opera senza il pianista nelle prove. Poi dopo arriva l’orchestra alla fine, ma prima per montare un’opera ci sono le prove di regia, le prove le prove musicali dove il direttore mette a punto i tempi, tutto quello che deve mettere a posto, poi arriva l’orchestra. Quindi, se non c’è un pianista bravo, si ferma tutta la macchina purtroppo. Invece nel conservatorio ho più soddisfazione debbo dire, perché faccio proprio il mio lavoro. I ragazzi sono molto sensibili a questa materia che può dare anche tanto lavoro perché c’è molta richiesta di questi pianisti specializzati ad accompagnare i cantanti e preparare”.
Siccome nella vita non si finisce mai di imparare, lei che metodo usa per continuare ad aggiornarsi?
“Ma, sicuramente oggi abbiamo internet che ci facilita molto tutto. Però mi piace ascoltare dischi 33 giri perché ci sono tanti cantanti direttori che noi non conosciamo oggi. Quindi nei 33 giri è bello sentire come si dirigeva un’opera rispetto ad adesso, quali erano i tempi, le tradizioni, le cadenze, le variazioni; tutto un altro mondo. Quindi, sicuramente, vado indietro non vado avanti proprio per capire meglio questo mestiere”.
Vuole aggiungere altro?
“No, io penso di aver espresso un po' tutto. Sicuramente un invito ai giovani a guardare anche intorno perché tutti vogliono fare i solisti, ma non c’è posto per tutti e poi non tutti nasciamo solisti. La musica può offrire tanti lavori, quindi ognuno di noi sicuramente è nato per fare qualcosa come chi suona in orchestra e se tutti volessero suonare il violino non avremmo tutti gli altri strumenti. Quindi bisogna capire in quale ruolo si sta meglio”.
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